Settembre 2016, Anno VIII, n. 9
Donatella Campus
Elettore o groupie?
“La trasformazione di questi supporter in cittadini attivi che poi continuano a partecipare regolarmente richiede che entrino in campo anche altri fattori, come l’identificazione con un progetto politico e con un sistema di valori.”
Telos: La politica segue le logiche di mercato: il candidato viene costruito (e venduto) come un prodotto e il cittadino è trattato come un consumatore di un qualsiasi altro bene commerciale. Quanto di vero c’è in questa affermazione?
Donatella Campus: La politica ovviamente non si riduce solo a questo, ma è vero che certe tecniche del marketing commerciale sono state importate e, perciò, si parla proprio di marketing politico. L’idea di fondo è che una campagna elettorale efficace si basa sul fatto di individuare chi sono i potenziali elettori e quali sono le loro priorità. Per far questo si mobilitano risorse sempre più professionalizzate: esperti di sondaggi, consulenti, etc. Di conseguenza, anche l’immagine del candidato è frutto di riflessioni attente: si cerca di mettere in luce gli aspetti che possono piacere e di minimizzare i punti deboli. Si deve, però, fare attenzione a rispecchiare sempre la personalità del candidato; altrimenti il rischio è farlo apparire inautentico, il che è molto controproducente. Aggiungerei anche che la questione non riguarda solo i candidati, ma anche i governi. Siamo, infatti, nell’era della campagna permanente; anche durante il mandato un leader presta molta attenzione alla sua immagine: infatti, deve valorizzare al meglio le sue decisioni politiche e mantenere il consenso. Un tempo l’investimento nella comunicazione sembrava concentrarsi soprattutto durante le campagne elettorali; ora non ci sono più interruzioni.
Il leader e la partecipazione alla politica dei cittadini. La personalità carismatica del candidato è l’elemento che risveglia dal torpore la voglia di partecipazione attiva dell’elettorato o la consegna definitivamente alla storia?
La premessa è che è finita l’epoca dei partiti di massa e siamo in quella che il politologo francese Bernard Manin chiama la democrazia del pubblico. Pertanto, quando i partiti e le ideologie hanno minore presa sugli elettori, un candidato che si sappia imporre per il suo fascino personale può certamente suscitare entusiasmi e risvegliare la partecipazione. In una campagna elettorale ciò può davvero cambiare il corso degli eventi. Il caso forse più eclatante fu quello di Barack Obama nel 2008 che riuscì a coinvolgere molti giovani che furono i suoi sostenitori più convinti. Lo stesso ha fatto quest’anno Bernie Sanders il quale, pur non riuscendo a strappare la nomination a Hillary Clinton, ha comunque dato vita a una vivace competizione. Il candidato giusto può quindi risvegliare la partecipazione, soprattutto quando le caratteristiche del contesto politico lo favoriscono. Ad esempio, quando ci sono elezioni primarie, è più facile vedere emergere degli outsider che galvanizzano gli elettori e conquistano la scena mediatica. Tuttavia, la trasformazione di questi supporter in cittadini attivi che poi continuano a partecipare regolarmente richiede che entrino in campo anche altri fattori, come l’identificazione con un progetto politico e con un sistema di valori. Non a caso oggi la vera difficoltà per i leader è quella di mantenere il consenso nel lungo periodo. Questo è il vero limite di una politica troppo personalizzata. Accade che la cosiddetta luna di miele, ovvero il periodo che segue una vittoria elettorale in cui il leader ha sollevato aspettative e suscitato speranze, finisca presto, talvolta solo dopo pochi mesi.
Il leader e il culto dell’immagine. Tema che sembra catapultarci ai tempi nei quali Mussolini mieteva a torso nudo. Eppure oggi, il giovane primo ministro canadese, il progressista Trudeau, si fa ritrarre nella posizione mayurasana, ostentando muscoli, agilità e il pacifismo dello yoga. È finito il tempo dei politici stempiati, con occhiali e pancetta?
Il riferimento a Mussolini suggerisce che la fisicità, il corpo del capo non è mai stato un elemento assente dalla propaganda politica. Oggi, però, mi pare che l’attenzione all’immagine dei leader, a come appaiono e a come vestono, ha una valenza più legata alla cosiddetta politica celebrità, cioè al fatto che i politici sono diventati protagonisti di una sorta di star system. Non è un caso se li troviamo spesso ritratti sulla stampa popolare, talvolta perfino sui giornali di gossip. Il primo ministro Trudeau che fa yoga, ma anche qualunque altra immagine di un politico impegnato in un’attività non politica -ad esempio, mentre è in vacanza o pratica uno sport- diventa notiziabile per i media popolari e non solo. Infatti fotografie di questo genere le vediamo circolare spesso anche sui principali quotidiani nazionali. Se da una parte, l’immagine del politico e di quel che fa nella sua sfera privata incuriosisce e interessa la stampa, ciò non esclude che, dall’altra parte, sia talvolta il politico stesso a usare il suo aspetto per veicolare messaggi politici. Ad esempio, il crescente uso di un abbigliamento informale mostra una certa coerenza con la spinta a popolarizzare la politica. Sempre più spesso i politici vogliono dirci che sono come noi e il loro modo di vestire in molte occasioni conferma questo messaggio. Infine, per rispondere all’ultima domanda posta, benché ovviamente un aspetto curato sia una buona carta di presentazione, non mi spingerei per questo a dire che siamo entrati nell’epoca dei politici necessariamente attraenti. Il problema, quindi, non riguarda stempiature e pancetta, ma, piuttosto, va sottolineato che, a essere qualità davvero cruciali, sono la capacità di diventare personaggi interessanti e soprattutto, dato l’incidenza della TV e della dimensione audiovisiva, la dote di bucare il video. In questo il linguaggio non verbale, del corpo, ha molta importanza: conta quello che dici, ma anche il modo in cui lo dici.
La strategia della paura e Brexit. Stavolta non ha funzionato?
Se ci riferiamo alle strategie dei leader coinvolti, quel che mi pare non abbia funzionato è stata la capacità dei sostenitori del Remain di orientare ampi settori dell’elettorato. I leader dei due principali partiti, David Cameron e Jeremy Corbyn, si sono mostrati disconnessi dagli umori popolari. All’indomani del voto, il premier Cameron ha dovuto dimettersi e Corbyn è stato duramente contestato in seno al suo partito. In modo meno prevedibile è poi accaduto che, anche nel campo del Leave, la vittoria in realtà non ha lanciato o rilanciato le leadership dei personaggi che si erano più esposti. Abbiamo assistito al passo indietro di Boris Johnson dalla corsa per la successione a Cameron e, addirittura, all’abbandono della leadership dell’UKIP da parte di Nigel Farage. In questo quadro di incertezza e confusione è emersa la leadership di Theresa May che è oggi la nuova premier. Il fatto che le donne assumano le posizioni di vertice durante le situazioni di crisi è un fenomeno che ha dei precedenti. Accadde a Margaret Thatcher e Angela Merkel, donne che hanno poi saputo davvero consolidare la propria posizione e sono divenute due tra i primi ministri più influenti nella storia contemporanea. Vedremo se Theresa May seguirà il loro esempio.
Marco Sonsini
Editoriale
Nemmeno la bellezza di Colin Firth sarebbe stata sufficiente a fare di un balbuziente Re Giorgio VI un leader. Eppure con l’aiuto di Logue riesce, nel momento della dichiarazione di guerra alla Germania del 1939, a fare un discorso alla nazione, alla radio, emozionante. Da vero leader. Della voce in falsetto di Bismark ne scrive Golo Mann nella sua Storia della Germania moderna 1789/1958. Una voce alta e delicata, quasi femminile, inaspettata ‘dalla mole del suo corpo’. Il grande diplomatico avrebbe avuto oggi il medesimo ruolo fondamentale nella formazione geopolitica dell’Europa con una voce squittente? Certo le immagini, nel loro complesso, pesano nella nostra società democratica, ma fisico, abito e voce non bastano a fare un leader. La pensa così Donatella Campus, professore di Scienza politica all’Università di Bologna, che nella sua ricerca ha cercato di dare una risposta ad una serie di importanti domande: nelle democrazie mediatiche fino a che punto conta lo stile del leader, il suo modo di prendere le decisioni e di comunicarle? In che modo tratti della personalità, motivazione, convinzioni ideologiche incidono sul rapporto del leader con i seguaci, i media e i cittadini? E qual è il ruolo del contesto istituzionale? I suoi vincoli sono così forti da imporre al leader un processo di adattamento o il capo dell’esecutivo è in grado di dare un’impronta personale all’esercizio del potere? Per le donne e gli uomini politici è difficile riuscire a tenere un filo narrativo che permetta loro di prendere decisioni coerenti. Se si hanno delle difficoltà ad istaurare un dialogo con il Paese, l’impatto sulla popolarità potrebbe essere esiziale. Questo colloquio infatti precisa la fisionomia stessa del leader, in un momento nel quale la velocità con la quale un avvenimento segue l’altro è assillante e non lascia tempo alla riflessione. Il rischio di esserne schiacciato, travolto è sempre in agguato. Ma questa velocità permette, allo stesso tempo, che la memoria sia labile, quasi inesistente, tanto da consentire, con un pizzico di abilità istrionica, di ribaltare posizioni, pensieri e affermazioni che fino a poco tempo prima sembravano inamovibili, scolpite nella roccia. Riprendiamoci il tempo, riprendiamoci la possibilità di esprimerci nelle urne con un giudizio autonomo, ponderato. Insomma torniamo ad essere elettori e non groopie! E aspettiamo di vedere con ansia chi prevarrà, nello scontro politico francese del 2017, tra il second couteau Hollade e il bel Macron, il banchiere che voleva essere re.
Donatella Campus è Professore associato di Scienza Politica presso l’Università di Bologna dove insegna Comunicazione Politica e Scienza Politica. È laureata all’Università Bocconi e, successivamente, ha preso un Ph.D in Political and Social Sciences presso l’Istituto Universitario Europeo. È autrice di diversi volumi, tra i quali Women Political Leaders and the Media (Palgrave-MacMillan, 2013), Comunicazione Politica: Le nuove frontiere (Laterza 2008), L’antipolitica al governo (Il Mulino 2006, tradotto nel 2010 da Hampton Press come Antipolitics in Power); L’elettore pigro (Il Mulino 2000). Ha curato L’immagine della donna leader (Bononia University Press, 2010); con G. Pasquino Masters of Political Science (ECPR Press 2009) e con M. Bull e G. Pasquino Maestri of Political Science (vol II) (ECPR Press 2011). Ha pubblicato articoli sulle principali riviste internazionali del settore comunicazione politica, come Political Communication, International Journal of Press and Politics, European Journal of Communication e diversi articoli su altre riviste internazionali, quali Journal of Contemporary European Studies, Journal of Modern Italian Studies, European Journal of Women’s Studies; International Journal of Public Opinion Research. Il suo lavoro più recente è Lo stile del leader. Decidere e comunicare nelle democrazie contemporanee (Il Mulino, 2016). Specializzata nel campo della comunicazione politica, si è interessata alla leadership anche perché il tema richiede un approccio interdisciplinare e questo le permette di occuparsi anche degli aspetti psicologici, che sono quelli che più l’appassionano. Tra tutti gli argomenti che ha studiato quello che le sta più a cuore è la leadership politica femminile perché è convinta che un numero crescente di donne al potere potrebbe apportare notevoli cambiamenti al modo di fare politica. È presente su Twitter come @dcampus.
Marco Sonsini
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