Gennaio 2021, Anno XIII, n. 1
Luca Serianni
Italiano. La Lingua senza Impero
"L’italiano è una lingua ‘senza impero’: che si è affermata non con la forza delle armi ma attraverso il prestigio della letteratura, ma anche delle arti e della musica."
Telos: Il Ministro Franceschini ha annunciato la nascita, e il finanziamento, del Museo della Lingua Italiana lo scorso agosto. Quasi un fulmine a ciel sereno. Lei è coordinatore della Commissione nazionale che si occupa della progettazione di questo museo. Ci racconta di cosa si tratta?
Luca Serianni: Diverse altre lingue del mondo hanno un museo che ne illustra la storia e il significato attuale: tedesco, francese, lituano, basco…; in tutto sono 65 musei sparsi nel mondo. E nel 2018 il linguista Giuseppe Antonelli, che fa parte del Comitato, ha pubblicato con Mondadori un libro di successo, appunto ‘Il museo della lingua italiana’. Certo, si tratterà di un museo che ha pochi manufatti stabili (i codici manoscritti sono gelosamente custoditi dalle biblioteche, com’è giusto che sia, e così anche ritratti di personalità che hanno inciso nella storia della lingua, da Pietro Bembo ad Alessandro Manzoni). Sarà un museo soprattutto interattivo, fondato su una struttura reticolare che offre più itinerari, senza limitarsi alla successione cronologica, che pure resta lo sfondo sul quale collocare i vari momenti. Non mancherà una componente ludica. I visitatori potranno verificare qual è la loro conoscenza della lingua, scoprire quali sono le parole che provengono da altre lingue, riconoscere le varie pronunce regionali, risalire all’etimologia delle varie specialità enogastronomiche così caratteristiche della cucina italiana (e mi piacerebbe che ci fosse anche la possibilità di assaggiarne, magari a rotazione, qualcuna). Si illustrerà in primo luogo la lingua scritta. L’italiano è una lingua “senza impero”, com’è stato detto: che si è affermata non con la forza delle armi ma attraverso il prestigio della letteratura – a partire da Dante, che avrà uno spazio particolare – ma anche delle arti e della musica. Pensiamo solo alla fortuna delle opere liriche con libretto italiano: chi vuole diventare cantante lirico non può rinunciare all’italiano, perché significherebbe rinunciare a cantare nel Don Giovanni di Mozart, nella Traviata di Verdi, nella Tosca di Puccini. Ma non ci sarà solo l’italiano letterario. Ci saranno anche i vari dialetti, componente ineludibile della storia italiana, e avrà molto spazio il rapporto di dare-avere con le varie lingue del mondo, con attenzione all’italiano nel mondo: dove e perché si studia? La sede prescelta non poteva che essere Firenze, in un complesso storico contiguo alla chiesa di Santa Maria Novella.
Il 2021 è l’Anno dantesco, in Italia e nel mondo. Ricorrono infatti i 700 anni dalla morte del Poeta. Non poteva, questo anniversario, cadere in un anno migliore. Il viaggio della Divina Commedia inizia in una selva oscura, ma passo dopo passo, in una costruzione intrisa di speranza, si conclude nella gloria del Paradiso, una speranza di salvezza che nutriamo in questi cupi momenti della pandemia Covid-19. Cosa possiamo riscoprire di Dante grazie a questa occasione celebrativa?
Tra i tanti temi che si stanno annunciando sul fronte delle iniziative dantesche, non avevo pensato al collegamento con la pandemia e alla speranza che la fine dell’anno anniversario coincida con la fine di questa tragedia globale: è uno spunto molto interessante (e quantomai attuale). Dante è un poeta che non finisce mai di sorprenderci e ha ammiratori sparsi in tutto il mondo, oltre al fatto che la Divina Commedia è il libro italiano più tradotto all’estero. Se pensiamo alla distanza, non solo temporale, ma anche culturale e filosofica che ce ne separa, dobbiamo riconoscere che si tratta di un fatto straordinario. Evidentemente la forza della poesia (da singoli personaggi famosi e di alto valore simbolico, come Francesca da Rimini e Ulisse, alla sfida di rappresentare la beatitudine nel Paradiso, fino al momento finale della visione di Dio) è in grado di superare molti ostacoli. Come possibili occasioni di riscoperta ne indicherei almeno tre. Intanto Dante non è solo l’autore della Commedia: ha scritto il primo vero trattato scientifico-filosofico scritto in volgare, non in latino, ‘Il Convivio’, e un trattato in latino, il ‘De vulgari eloquentia’, che per la prima volta descrive la pluralità linguistica dell’Italia, fonda le caratteristiche del volgare illustre e riflette su temi che oggi diremmo di “linguistica generale” (entrambi i trattati sono incompiuti: evidentemente urgeva la scrittura del “poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra” per usare le parole di Paradiso, XXV, 1-2). La grandezza del Dante “minore” è ben nota a studiosi e insegnanti, ma forse è utile trasmetterne un’eco al grande pubblico. Ancora al grande pubblico si possono proporre approfondimenti di canti meno noti ma di sicuro fascino, se presentati opportunamente: dalle rappresentazioni così vivacemente realistiche del basso Inferno, alla presenza di echi terreni non solo nel Purgatorio, ma anche nel Paradiso, con fiere invettive contro la corruzione dei religiosi da parte di Beatrice e di San Pietro. E poi, naturalmente, c’è il lavoro scientifico. Tra i tanti convegni annunciati, ne segnalo solo uno, di respiro internazionale, promosso dall’Accademia dei Lincei (marzo prossimo), dedicato allo studio della presenza di Dante nelle letterature del mondo e nella cultura extra-letteraria.
La lingua è un processo in continua metamorfosi. L’italiano appare influenzato, e molti dicono impoverito, dai termini inglesi, e in particolare dalla digitalizzazione della comunicazione, con in testa i social. Cosa resterà di tutto ciò nel volgare del futuro prossimo venturo?
Non c’è dubbio che l’italiano abbia una minore reattività nei confronti degli anglicismi rispetto a francese o spagnolo: basterebbe pensare che, per indicare il familiare attrezzo che ciascuno di noi usa davanti al computer noi parliamo di mouse, i francesi di souris, gli spagnoli di ratón (del resto anche il computer viene chiamato rispettivamente dai nostri cugini d’Oltralpe ordinateur e ordenador). Non basta il numero relativamente alto, di anglicismi, però, per “impoverire” la lingua. Il problema, già individuato dal grande linguista Tullio De Mauro molti anni fa, è la scarsa istruzione media, il fatto che una quota rilevante di adulti perda ciò che ha imparato a suo tempo a scuola e si trovi quindi a maneggiare una lingua impoverita, con difficoltà a comprendere testi scritti anche non particolarmente complessi. L’istituzione a cui richiamarsi per affrontare questa situazione, almeno pensando alle ultime generazioni, non può che essere la scuola. È nella scuola che si gettano le basi dell’istruzione e che si forma il senso critico, oltre alla padronanza nella propria madrelingua. Le traversie legate alla pandemia e l’interruzione della didattica in presenza, particolarmente grave per le coorti più giovani, non aiutano, certo. Ma il problema principale mi sembra questo, anche per l’uso linguistico, non le diverse modalità di comunicazione e le abitudini linguistiche dei social network, che in realtà non sono fenomeni davvero pervasivi, almeno rispetto ai tempi lunghi in cui articola una lingua nel suo sviluppo.
LobbyNonOlet è un tentativo che portiamo avanti da qualche anno per far comprendere cosa è l’attività di rappresentanza di interessi. Lobby e lobbista sono parole molto usate, ma pochi sanno davvero di cosa si tratta. Hanno sempre una connotazione negativa, e nei dizionari viene registrato solo questo aspetto, legato all’uso comune. Eppure il dizionario, o ancor meglio l’enciclopedia dovrebbe anche descriverne il reale significato, e spiegare di cosa si tratta nella realtà. Pensa sia possibile fare in modo che l’attività lobbistica, così come portata avanti dai professionisti del settore, sia declinata linguisticamente in modo corretto?
La lingua (fino alla registrazione di una parola nei dizionari) è successiva rispetto all’evoluzione di un concetto nella società. Negli Stati Uniti il lobbismo esiste da molto tempo, è accettato come prassi riconosciuta dalla società ed è regolamentato dalla legge. In Italia non è così. Una volta che, anche qui, una legge ne riconoscerà i diritti e ne assicurerà la trasparenza, si affermerà anche la relativa parola. Dubito però che allo scopo funzioneranno ancora lobby e lobbismo, che, piaccia o non piaccia, sono parole accompagnate da un alone negativo che non è facile dissolvere; meglio pensare a un neologismo specifico, per esempio rappresentanza di interessi. Forse LobbyNonOlet potrebbe cominciare proprio da questo aspetto, che non è proprio secondario: la lingua influenza la nostra percezione del mondo.
Marco Sonsini
Editoriale
Il 2021 è arrivato. Carico di aspettative, anzi stracarico. Un anno molto importante per la nostra lingua, perché si celebrano i 700 anni dalla morte di Dante. Chi meglio quindi di Luca Serianni come ospite del numero di gennaio? Il prof. Serianni ha dedicato all’italiano la sua vita di studioso. Italiano ‘lingua senza impero’, così la definisce il linguista Francesco Bruni in un suo scritto del 2001
. D’altronde lo stesso Monti, citando il Graecia capta di Orazio, scrive che ‘delle lingue non è la potenza delle armi che decide la lite, ma quella degli scritti, depositarj dell’umano pensiero e di tutti gli oracoli della ragione, la cui forza è posta principalmente nella parola’. A Serianni è stato anche conferito, nel 2020, l’incarico di coordinare i lavori per il Museo della Lingua Italiana. Ci racconta quindi di questo progetto – che arriva ben 66mo nel mondo – insieme ad alcune occasioni di riscoperta del Poeta e iniziative dantesche del 2021 da non perdere.
Poi ci rassicura sul futuro della nostra lingua che, a suo avviso, non rischia di essere fagocitata dagli anglicismi o dall’uso impoverito che se ne fa sui nuovi mezzi di comunicazione digitale. Sostiene infatti che ‘le abitudini linguistiche dei social networks’ non sono ‘in realtà fenomeni davvero pervasivi, almeno rispetto ai tempi lunghi in cui articola una lingua’. Evviva! Si preoccupa invece delle traversie che la scuola, luogo dove ‘si gettano le basi dell’istruzione e che si forma il senso critico, oltre alla padronanza nella propria madrelingua’, sta attraversando a causa della pandemia.
È innegabile però che si sia perso il contatto con la tradizione letteraria italiana dei secoli scorsi che, bene o male, gli studenti che frequentavano il liceo trent'anni fa mantenevano ancora. Spesso sentiamo dire che Dante scrive con la stessa lingua da noi utilizzata magari poco accessibile per via di una patina lessicale arcaica. In realtà ho l’impressione che sia una pia illusione. C’è stata un’accelerazione del naturale iato tra antico e moderno, questo ha comportato la conseguenza della perdita di un certo lessico più raffinato. Che però è il lessico che può capitare di leggere in un editoriale di un grande quotidiano, magari dal grande giornalista che usa anche alcuni termini rari con funzione ironica. Perderlo significa non essere pienamente in grado di capire l'articolo: un rischio grave per uno studente di liceo, gravissimo per un adulto.
Non potevamo non coinvolgere il prof. nella nostra battaglia per redimere le parole ‘lobbista’, ‘lobby’ e tutti i loro derivati. La sua risposta non è molto confortante, ma ci regala un’indicazione: quella di impegnarci, attraverso la nostra iniziativa LobbyNonOlet, a trovare un neologismo utile a sostituirle, perché ‘troppo accompagnate da un alone negativo’. Ci penseremo di certo, ma proveremo ancora a cercare di modificarne la percezione. Perché, come dice il prof., è la lingua che influenza la nostra percezione del mondo.
Con questo numero, inauguriamo anche la nuova grafica delle copertine di PRIMOPIANOSCALAc: una pagina bianca strappata dalla quale si intravede uno stralcio dell'intervista in italiano e inglese, con un insetto che guarda verso il testo. Gli insetti sono stati fonte di ispirazione artistica: li incontriamo nella pittura, nei gioielli, negli ex libris e nelle favole. Quando li troviamo nel letto, ci prende un infarto. Ma se guardiamo le loro rappresentazioni, ci rendiamo conto che sono anche molto belli.
Appartengono a un mondo affascinante e poco conosciuto. Dal 1999, la German Society for General and Applied Entomology proclama l’insetto dell’anno. Quindi c'è qualcuno che li ama.
Al prof. Serianni è toccato il grillo (insetto dell’anno nel 2003). Perché? Perché i grilli parlano e hanno vocalizzazioni diverse. Se un grillo maschio incontra un esemplare dello stesso sesso, produrrà un suono ritmico, per invitare il rivale ad allontanarsi. Se incontra una femmina, emetterà un canto più accelerato, più acuto ma dal volume meno elevato: una sorta di sussurro per corteggiare la potenziale partner. E poi, attraverso la figura retorica della personificazione, il grillo parlante è diventato uno dei personaggi più conosciuti della letteratura italiana, grazie al Pinocchio di Carlo Collodi. E chi è stato allievo di Serianni non dimentica che proprio a Collodi, e alla sua favola ‘terribile se non feroce’, il prof. ha dedicato un suo indimenticato corso universitario. Bei tempi!
Mariella Palazzolo
Luca Serianni
è Professore emerito di Storia della lingua italiana nell’Università La Sapienza di Roma, dottore honoris causa delle Università di Valladolid e Atene e Socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, della Crusca e dell’Accademia delle Scienze di Torino. È direttore delle riviste ‘Studi linguistici italiani’ e ‘Studi di lessicografia italiana’. Dal 2010, è Vice Presidente della Società Dante Alighieri. Nel 2017 è stato nominato consulente del MIUR per l’apprendimento della lingua italiana.
Prima di diventare Ordinario alla Sapienza, nel 1980, è stato Professore di Storia della lingua italiana presso le Università di Siena, L’Aquila e Messina.
Serianni è uno dei più importanti studiosi della lingua italiana, autore, tra l’altro, della ‘Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria’ (1988), e curatore della ‘Storia della lingua italiana per immagini’.
Si è occupato di vari aspetti di storia linguistica dell’italiano, dalle origini ad oggi, dai linguaggi settoriali, in particolare quello medico sul quale ha scritto nel 2005 ‘Un treno di sintomi – I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente’ - alla lingua letteraria, che ha approfondito in ‘Introduzione alla lingua poetica italiana’ nel 2001.
Alcuni tra i saggi più recenti: ‘Prima lezione di storia della lingua italiana’ (2015), ‘Parola’ (2016), ‘Storia illustrata della lingua italiana’ (2017, con L. Pizzoli), ‘Per l'italiano di ieri e di oggi’ (2018), ‘Il sentimento della lingua. Conversazione con Giuseppe Antonelli’ e ‘Il verso giusto. 100 poesie italiane’ (2020).
Ama le passeggiate in città, alla scoperta delle periferie, i gatti e l’opera lirica.
Marco Sonsini
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