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Settembre 2024, Anno XVI, n. 9

Carlos Luis Suárez

Fede, Amore e Gioia

Il cammino cristiano è un incontro vivo con qualcuno che ci ama oltre misura e ci aiuta a scoprire la nostra stessa essenza, la nostra più genuina originalità. È la gioia di scoprire che siamo frutto di un amore senza misura.

Telos: Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, ma vi presentate come Padri Dehoniani. Perchè?

Carlos Luis Suárez: Il nostro appellativo -Dehoniani- nasce dal nome del fondatore della nostra Congregazione, il sacerdote francese Léon Dehon che, nel 1878, diede vita al nostro istituto, motivato dalla promozione del regno del Cuore di Gesù nelle anime e nelle società. Molto impegnato nell'insegnamento sociale di Papa Leone XIII (autore dell'enciclica Rerum Novarum), P. Dehon ha vissuto la sua vita cristiana e il suo ministero a partire da una spiritualità riparatrice di fronte all'Amore non amato. Uomo del Vangelo e di profonda vita eucaristica, P. Dehon, da un'attenta vita interiore, si impegnò in settori diversi come l'insegnamento nelle scuole, l'apostolato sociale nelle fabbriche, i mezzi di comunicazione e le missioni lontane, per citare solo alcuni campi del suo apostolato. Dalla sua esperienza di fede, oggi comprendiamo, come dicono le nostre Costituzioni, che il nostro Fondatore si aspetta che i suoi religiosi siano “servitori della riconciliazione e profeti dell'amore” a partire dalla vita fraterna e dalla diversità dei compiti a servizio del Vangelo. L’appellativo dehoniani non si riferisce solo ai religiosi, ma anche a tante altre persone, laici e consacrati, che si sono sintonizzati spiritualmente con il carisma di P. Dehon. E lui non appartiene alla Congregazione, ma alla Chiesa. Quindi, tutti insieme, formiamo la Famiglia Dehoniana.

Superiore Generale della Congregazione. Lo scorso 27 giugno Papa Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti al XXV Capitolo Generale della Congregazione, e nel suo saluto ha scherzato dicendo “confermato per un secondo mandato – non hai fatto male, se ti hanno rieletto!” Quali sono i compiti Superiore Generale, come ha interpretato fino ad oggi questo ruolo, e cosa si aspetta dai prossimi sei anni?

La gentile battuta del Santo Padre voglio interpretarla, non tanto come una frase di compiacimento, ma come un incoraggiamento paterno a mantenere vivo e crescente il lavoro di squadra. Ci sentiamo discepoli e dobbiamo continuare a imparare a rispondere nel miglior modo possibile alle sfide che incontriamo ovunque siamo, svolgendo il nostro apostolato. In questo senso, compito del superiore generale è servire la comunione tra i religiosi che compongono la Congregazione e promuovere tutto ciò che ci aiuta a vivere in fedeltà creativa il carisma che condividiamo. Negli ultimi sei anni ho incontrato i religiosi nei 45 Paesi dove la Congregazione è presente. Oggi siamo circa 2.200. Aver potuto dialogare con loro è stata scuola viva: mi hanno aiutato a capire meglio cos'è la nostra Congregazione. Diventare sempre più consapevoli del corpo che formiamo è stata una costante in tutte le visite. Dobbiamo restare agili, attenti, disponibili. Altrimenti questo corpo, sempre parte della Chiesa, perderebbe la sua ragion d'essere.  In questo senso siamo grati ai tanti confratelli che rendono visibili tutti gli elementi essenziali della nostra vocazione. Mi commuove ricordare la testimonianza di solidarietà dei nostri religiosi a Irpin-Kiev, in Ucraina, o nei campi profughi di Ngote, nell’est della R.D. del Congo. Allo stesso modo, penso a coloro che, insieme a tanti altri collaboratori, si dedicano a compiti educativi in Paesi e contesti diversi come quelli dell'Indonesia, del Ciad o tra i Lakota negli Stati Uniti. Come questi, tanti altri luoghi e tanti altri modi di vivere e condividere la fede e la vita nella missione di ogni giorno. E non solo lontano, ma anche qui, a Roma, dove i parrocchiani di Cristo Re, ad esempio, vivono una solidarietà calda portando a un buon numero di senzatetto, non solo cibo, ma tanto affetto.

Spagnolo di nascita, ma venezuelano per missione. Il Venezuela è la sua Regione di appartenenza. Ci spiega cosa significa in pratica, ma soprattutto cosa ha significato per lei?

Poco dopo il noviziato sono stato inviato in Venezuela per continuare la mia formazione religiosa e completare lì i miei studi teologici. Avevo vent'anni. Non appena ne venne a conoscenza, mia madre, Clara, scrisse su un taccuino una lettera per il Venezuela. Ma questo l’ho saputo solo molto più tardi. Da una madre ad un’altra madre, Clara ha chiesto al Venezuela di accogliermi come un figlio. Dopo aver vissuto lì per più di venticinque anni, posso dire che quella terra bella e sofferente è stata, davvero, una madre: accanto ad una gente accogliente e semplice, è cresciuta la mia comprensione della vita religiosa. Considero una benedizione aver lasciato il mio Paese d'origine e aver vissuto in aree segnate dalla povertà e dalla violenza, anche se non è stato sempre facile. Imparare a vedere segni di vita e di speranza in mezzo a tutto ciò è stato un processo complesso, ma allo stesso tempo arricchente e, soprattutto, umanizzante. Per un breve periodo ho avuto la grazia di vivere anche in India all'inizio della nostra presenza lì. Per una serie di circostanze, uno dei due missionari pionieri era dovuto ritornare nel suo paese d'origine e mi chiesero di sostituirlo finché non fosse arrivato il nuovo. Quel semestre è stato una benedizione per me. Non avevamo nulla e dovevamo spostarci di continuo per conoscere quello che ci circondava. Oggi le nostre comunità in India sono una realtà bella, piena di vitalità. Spero sempre che la missione, sia quella a lungo raggio che quella più casalinga, faccia parte della nostra quotidianità. Una giornata senza offrire o condividere una buona notizia, o un buon gesto, sarebbe una giornata mancata.

In un mondo profondamente laico come quello di oggi è ancora possibile parlare di spiritualità, misticismo, apostolato, di valore della vita sacramentale? Se sì, come?

Credo che la vita stessa è, in un certo senso, un sacramento. Ogni vita è un luogo di incontro e questo è ciò che avviene nei sacramenti. Quando li celebriamo, viviamo un incontro. La vita spirituale è un’apertura a una relazione (con qualcuno, con altri) che consola, motiva, preoccupa e anche interroga, ma che in nessun caso ci aliena e ci rende estranei a noi stessi. Contemplare un paesaggio, ascoltare una musica, ammirare un’opera d’arte, leggere un testo, essere accanto -o pensare- ad una persona particolarmente amata, può avere una risonanza significativa nella nostra intimità più profonda. Il cammino cristiano è un incontro vivo con qualcuno che ci ama oltre misura e ci aiuta a scoprire la nostra stessa essenza, la nostra più genuina originalità. È la gioia di scoprire che siamo frutto di un amore senza misura. Solo allora comprendiamo che la nostra esistenza è un dono. Un dono, può essere fragile, sì, ma è prezioso per chi lo riceve. Perché è qualcosa di offerto, senza chiedere nulla in cambio, e che non ha altro scopo se non quello di esprimere affetto e suscitare gioia. Se intendiamo la vita in questo modo, essa non potrà che essere un dono permanente. E gli innamorati lo sanno bene. Sta qui la chiave di ogni vocazione, e ancor più della vocazione cristiana in ogni sua manifestazione. La vocazione è un tema da innamorati.
Chi offre la sua vita, nel quotidiano della famiglia, in una comunità religiosa, o in qualsiasi altro modo, è perché è consapevole di sapersi dono. Non è possibile la vocazione alla vita religiosa o al sacerdozio senza comprendere che questo è un dono prezioso. È necessario imparare, però, ad utilizzare il regalo, affinché non venga danneggiato per non aver letto attentamente il manuale di istruzioni. Nel nostro caso, il manuale è il Vangelo. A partire dalla Buona Novella, mantenendo la comunione con tutta la Chiesa e essendo particolarmente attenti alle persone e ai luoghi più bisognosi di riparazione, quelli che per gli altri non contano o non valgono nulla, contribuiremo ad una spiritualità credibile, innamorata. Una spiritualità che non si chiude egoisticamente per preservarsi, ma comprende che per esistere deve aprirsi, essere esposta. Se oggi lamentiamo la mancanza di vocazioni, in qualunque sua espressione, forse dobbiamo chiederci se abbiamo chiaramente manifestato, spiegato, che la vita cristiana è dono ricevuto, accolto e condiviso. Per usare il linguaggio del Vangelo, non si tratterebbe, semplicemente, di avere una vita e delle comunità (famiglia, parrocchia, religiosi…) più samaritane? (Luca 10,25-37).

Marco Sonsini

Editoriale

Tutta colpa di Padre Riccardo. Il coinvolgente, burbero bergamasco che senza allertare nessuno decide di organizzare la cena conclusiva del XXV Capitolo Generale della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, e raccogliere così un po’ di fondi per finanziare l’Associazione ‘Pasti Caldi’ che distribuisce pasti caldi appunto, su strada. I commensali sono pochissimi -più di centoventi! - ma con l’aiuto della Provvidenza, che questa volta si personifica nei volontari dell’Associazione, la cena si avvera. Coinvolta, da esterna, per dare un piccolo aiuto, scopro un mondo fatto di gioia e mi assicuro questa intervista, questa magnifica e commovente intervista. Il nostro ospite del numero di settembre di PRIMOPIANOSCALAc è Padre Carlos Luis Suárez, Superiore Generale della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, meglio conosciuti come padri dehoniani (lascio alle sue parole spiegare il perché di questo appellativo).
I temi toccati con profondità, ma con grande semplicità, da P. Carlos sono tanti, dalla storia e missione della congregazione ai compiti del Superiore Generale, fino all’esperienza personale di P. Carlos in Venezuela e in altri luoghi difficili della terra. Quello che lascia il segno è la risposta che ha dato alla domanda su come sia possibile parlare oggi di spiritualità, misticismo, apostolato, e del valore della vita sacramentale. La sua chiarezza, diretta e forte ci spiazza e non provo nemmeno a sintetizzarla qui. Ma il punto davvero centrale è la chiosa finale che fa sulle vocazioniSe oggi lamentiamo la mancanza di vocazioni, in qualunque sua espressione, forse dobbiamo chiederci se abbiamo chiaramente manifestato, spiegato, che la vita cristiana è dono ricevuto, accolto e condiviso. Per usare il linguaggio del Vangelo, non si tratterebbe, semplicemente, di avere una vita e delle comunità (famiglia, parrocchia, religiosi…) più samaritane?”. Non scarica la responsabilità, ma la fa propria, e indica anche la strada per trovare una soluzione.
Il tema delle vocazioni alla vita sacerdotale è davvero caldo per la Chiesa Cattolica. Gli ultimi dati dell'Annuario Pontificio 2024 e dell'Annuarium Statisticum Ecclesiae 2022 indicano un fenomeno paradossale: nel mondo aumentano i cattolici, sono 1 miliardo e 390 milioni, ma è inarrestabile il calo delle vocazioni. La crisi delle vocazioni che ha interessato l'Europa sin dal 2008 non sembra arrestarsi: nel biennio 2021-2022, il numero dei seminaristi è diminuito del 6%. A ben guardare infatti, l’incremento dei cattolici battezzati, dei vescovi nei continenti e dei diaconi permanenti è in Africa, Asia e Oceania. Il numero globale dei sacerdoti nel mondo nel 2022, rispetto a quello del 2021, ha subito una diminuzione di 142 unità. Se Africa e Asia mostrano una dinamica sostenuta (rispettivamente +3,2% e 1,6%) e l’America si mantiene pressoché stazionaria, l’Europa, con il maggior peso sul totale, registra, invece, tassi di variazione negativi dell’1,7%.
Quello che sta accadendo invece negli Stati Uniti è molto particolare. A questo proposito, mi ha molto colpita un articolo del New York Times dello scorso luglio America’s New Catholic Priests: Young, Confident and Conservative”. L’autore, dopo aver intervistato un numero significativo di giovani preti, trae la conclusione che in un’era di profonde divisioni nella Chiesa statunitense, la maggior parte dei sacerdoti appena ordinati dichiarano posizioni teologiche, liturgiche ma anche politiche, conservatrici/ortodosse. Inoltre, le ricerche sulle opinioni dei sacerdoti, condotte dall’Università di St. Thomas a Houston, hanno rilevato che, a partire dagli anni '80, ogni nuova ondata di sacerdoti negli Stati Uniti è sensibilmente più conservatrice di quella precedente. Pensate che circa la metà dei sacerdoti ordinati negli anni ’60 si descriveva politicamente progressista e una quota ancora maggiore come teologicamente progressista. Un fenomeno, quello statunitense, che si scontra con la cultura secolare…
Divisioni, scontri, politiche conservatrici o progressiste… tutto questo viene messo da parte da P. Carlos che ci indica una strada diversa: seguire l’esempio del Buon samaritano, e tutto sarà migliore.
Le copertine del 2024 di PRIMOPIANOSCALAc sono ispirate alle opere di Romano Gazzera, pittore piemontese noto per i suoi fiori ‘giganti’, ‘parlanti’ e ‘volanti’ che, insieme ad altri temi iconografici legati alla memoria storica e collettiva, lo hanno caratterizzato e distinto come il caposcuola della corrente Neo-floreale italiana. Per P. Carlos abbiamo scelto la Vriesea splendens, una pianta che tutti noi abbiamo almeno una volta avuto in casa. È una pianta sempreverde, con una bellissima infiorescenza di un rosso acceso, e proviene proprio dal Venezuela, la seconda madre di P. Carlos.

Mariella Palazzolo

Carlos Luis Suárez

Carlos Luis Suárez è il Superiore Generale della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù. Ha professato i primi voti nel 1984 ed è stato ordinato sacerdote nel 1990. P. Carlos ha conseguito una Licenza in Sacra Scrittura rilasciata dal Pontificio Istituto Biblico (1995) e il Dottorato presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Nella Regione del Venezuela, a cui apparteneva, ha ricoperto la carica di Consigliere regionale. Nella sua carriera accademica, P. Carlos ha ricoperto diversi incarichi, oltre a insegnare presso l’Istituto di Teologia per i Religiosi (ITER) di Caracas e presso la Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas (UCAB). Ha anche partecipato a molte esperienze internazionali, sia in America Latina che in altri Paesi (come Italia, India, Israele, Germania e Stati Uniti). Educatore presso il Teologato Internazionale “Juan María de la Cruz” di Caracas, ha lavorato nell’accompagnamento di giovani emarginati. Durante il XXIV Capitolo Generale (2018) è stato eletto per la prima volta Superiore Generale, carica riconfermata dai membri del XXV Capitolo Generale riuniti a Roma nel giugno del 2024.
P. Carlos è spagnolo, e ha 59 anni.

Marco Sonsini