Aprile 2016, Anno VIII, n. 4
Giovanni Pitruzzella
Antitrust. 25 anni e non li dimostra
“In ragione dell’evoluzione tecnologica che caratterizza determinati mercati, è necessario che la regolazione delle attività economiche sia soggetta a una revisione periodica. Il Disegno di legge concorrenza, se adottato regolarmente, darebbe maggiore continuità al processo di liberalizzazione dell’economia.”
Telos: La Legge Sviluppo del 2009 ha disposto l’adozione di una legge in materia di concorrenza con cadenza annuale. Il disegno di legge per il mercato e la concorrenza, che si avvia in queste settimane verso l’approvazione definitiva da parte del Parlamento, è stato in realtà il primo a essere presentato dal governo. Qual è il suo punto di vista sul testo che si appresta a diventare legge dello Stato?
Giovanni Pitruzzella: Non posso che esprimere apprezzamento nei confronti del Governo per aver dato attuazione per la prima volta a tale previsione di legge. Com’è noto, dal 2009 l’attività di advocacy ha trovato ulteriore espressione nello strumento della segnalazione per la legge annuale sulla concorrenza, attraverso la quale l’Autorità fornisce annualmente il proprio contributo tecnico al Parlamento e al Governo, con l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura dei mercati, in modo da promuovere la concorrenza e garantire la tutela dei consumatori. Sicuramente il Ddl concorrenza si muove in questa direzione, intervenendo in molti settori rilevanti per l’economia, in particolare nel mercato elettrico, nella distribuzione dei servizi assicurativi, telefonici, bancari, nel settore farmaceutico e sullo svolgimento delle attività professionali. Ciò premesso, sebbene il disegno di legge abbia sollevato accesi dibattiti e il testo attualmente in discussione non contenga tutte le originarie proposte, il mio auspicio è che il testo definitivo possa arricchirsi ulteriormente tenendo conto delle esigenze e delle aspettative dei consumatori in modo efficace. In ragione dell’evoluzione tecnologica che caratterizza determinati mercati, è necessario che la regolazione delle attività economiche sia soggetta a una revisione periodica. Questo strumento, se adottato regolarmente, darebbe inoltre maggiore continuità al processo di liberalizzazione dell’economia.
Sebbene lo Stato abbia potestà legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza, le competenze attribuite alle Regioni in molti ambiti (come energia e reti di trasporti) rischia di determinare un quadro normativo piuttosto frammentato. In che misura ritiene che questo costituisca un ostacolo alla concorrenza? Che cosa può fare l’AGCM per ovviare alle difficoltà eventualmente poste da questo pluralismo istituzionale e normativo?
L’Antitrust ha sempre mostrato una grande attenzione nei confronti dei mercati locali, e quindi dell’attività delle Regioni, nell’ottica di contrastare normative e interventi idonei a limitare la concorrenza. Un profilo particolarmente delicato è costituito proprio dalle vischiosità che si registrano a livello locale: spesso i vincoli all’esercizio delle attività economiche nel settore dei servizi, eliminati dal legislatore nazionale, vengono reintrodotti in sede di normativa regionale o attraverso atti delle amministrazioni periferiche. Al riguardo, sono stati potenziati gli strumenti per garantire la coerenza nell’applicazione dei principi concorrenziali nel nostro ordinamento. Dall’entrata in vigore del D-L n. 1/2012, che ha attribuito all’Autorità una nuova competenza consultiva, sono pervenute dalla Presidenza del Consiglio dei ministri 244 richieste di parere su leggi regionali, in relazione alle quali, in 39 casi, l’Autorità ha ritenuto di segnalare una violazione dei principi di concorrenza. Va senz’altro posto l’accento sulla circostanza per cui i principi affermati dalla Corte costituzionale nelle proprie sentenze contribuiscono a rafforzare non poco gli interventi di advocacy dell’Autorità, favorendo sia l’esercizio dell’attività consultiva di tipo tradizionale sia l’esercizio dei nuovi poteri, tra cui anche quello di impugnativa degli atti amministrativi ex art. 21-bis.
Dal 2012, l’AGCM attribuisce un rating di legalità alle imprese che ne facciano richiesta, allo scopo di promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali. Come valuta l’esplosione, negli ultimi mesi, delle istanze di attribuzione del rating?
Vorrei rispondere a questa domanda citando Calvino che, nel suo “Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”, nel 1980 descriveva l’Italia come “un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente”. Ciò nonostante - secondo lo scrittore - esisteva una categoria di cittadini, gli onesti, che erano tali “per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone.” Ebbene, con il rating di legalità si mira a raggiungere proprio quell’obiettivo: far emergere gli onesti trasformandoli in motore dell’economia e in modello da seguire. Ma per decollare, il rating non può fare affidamento solo sull’onestà dell’impresa, deve rappresentare anche un elemento di convenienza economica. L’impresa deve sapere che se rispetta le leggi, collabora alla denuncia dei reati più gravi che rendono opaco e vischioso l’esercizio delle attività economiche, potrà ottenere la certificazione di legalità e ricavare vantaggi nell’accesso al credito e ai finanziamenti pubblici.
A quattro anni dalla sua nomina alla guida dell’AGCM è tempo di fare un piccolo bilancio: quali sono le luci e le ombre?
L’Antitrust sta vivendo una fase di profondo cambiamento che inevitabilmente incide sulla sua fisionomia. Mentre la repressione delle condotte anti-competitive è stata tradizionalmente considerata il core business dell’Autorità, ora sta emergendo una prospettiva più ampia, volta alla rimozione dei colli di bottiglia che bloccano lo sviluppo dell’economia e impediscono al mercato concorrenziale di produrre i suoi effetti, in termini di efficienza e di innovazione. L’esperienza maturata nel corso di oltre due decenni ci indica che l’insufficiente conformazione concorrenziale di numerosi mercati costituisce non solo un costo per consumatori e imprese, ma anche uno dei motivi principali che determinano l’arretratezza del tessuto produttivo nazionale e un ostacolo alla crescita economica. In questa prospettiva, si inseriscono i nuovi poteri che a più riprese il legislatore ci ha attribuito: tra questi, i poteri ex art. 21 bis, che vedono un ruolo del tutto nuovo dell’Antitrust, la quale si interfaccia anche con le Pubbliche Amministrazioni al fine di rimuovere i comportamenti e le pratiche che ostacolano la concorrenza per il mercato e nel mercato.
Marco Sonsini
Editoriale
10 ottobre 1990, viene emanata la prima normativa antimonopolistica italiana, esattamente un secolo dopo lo Sherman Act americano e a quasi 40 anni dalla ratifica del Trattato CE. Ha rappresentato un grande cambiamento nel nostro ordinamento perché ha ribaltato la concezione filo-monopolistica che si desumeva dalla nostra Costituzione e dal codice civile. Eppure le differenze tra la concezione dell’antitrust statunitense e quella europea sono notevoli. Basti pensare che l’antitrust europeo è nato per limitare i monopoli pubblici e ridurre l’intervento dello Stato nell’economia più che per disciplinare i conflitti tra privati o per contrastare i monopoli privati, come invece quello statunitense. La storia della legislazione antitrust negli Stati Uniti ed in Europa può essere quindi letta come la rappresentazione dei diversi modi di affrontare il dilemma irrisolto dello sviluppo dei paesi occidentali: l’emergere nel mercato, come espressione e prodotto della libertà individuale, del fenomeno opposto del potere privato; un potere che minaccia non solo di menomare la libertà economica degli altri, bensì di incidere sull’equilibrio delle decisioni pubbliche, e che dunque può essere fronteggiato soltanto con un accrescimento del potere pubblico, che a sua volta può tradursi in ulteriore restrizione degli spazi dell’autonomia individuale. Una società democratica è tale se riesce a definire e a salvaguardare i due confini. Tutto il dibattito che percorre la società contemporanea verte, in definitiva, sul ‘’dove’’ collocare tali confini. Ma in Italia, l’Antitrust è stata in grado, nei suoi 25 anni di vita, di far nascere e sviluppare la cultura della concorrenza? Con Giovanni Pitruzzella, Presidente dell’AGCM e raffinato giurista, spaziamo da Calvino ai provvedimenti amministrativi e tracciamo un piccolo bilancio. Il quadro dà conto di un’antitrust viva, in costante trasformazione, per fronteggiare - e a volte precorrere - necessità mutevoli nel tempo. Non poteva dirlo meglio, Giuliano Amato, durante la sua lectio magistralis per i 25 anni dell’Autorità: “l’Antitrust è riuscita a imporre cultura della concorrenza in un Paese a cui questa cultura era rimasta estranea”. Da ente “a valle”, dedito per lo più a sanzionare i comportamenti anticoncorrenziali, è divenuto via via ente “a monte”, che opera anche per promuovere la concorrenza. Pensiamo a due ambiti nuovi, di chiara derivazione americana: tutela dei consumatori ed advocacy. I consumatori rivestono sempre più un ruolo centrale: maggiormente consapevoli grazie alle nuove tecnologie ed inevitabilmente esposti ai rischi che queste comportano, sono dotati oggi di diritti e prerogative un tempo impensabili, da esigere e tutelare. L'advocacy poi, che in Autorità chiamano “attività di segnalazione”, è lo strumento che ha l’antitrust per lanciare l’allarme alle istituzioni quando la libera concorrenza appare in pericolo. È così, ad esempio, che nasce la Legge sulla concorrenza. Che dovrebbe essere annuale, ed ancora non è mai stata approvata: i tempi della politica, mettiamola così. A sentire il Presidente Pitruzzella, però, questo è l’anno giusto: attendiamo fiduciosi!
Giovanni Pitruzzella è Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) dal 29 novembre 2011. Professore ordinario di Diritto costituzionale dal 1994, prima nell’Università di Cagliari e poi nell’Università di Palermo (dove è anche docente nella Scuola di specializzazione in Diritto europeo), Pitruzzella è stato, dal 1986 al 1993, professore associato di Istituzioni di diritto pubblico. Per circa vent’anni ha esercitato la professione di avvocato amministrativista. Nel 2006 è stato nominato componente della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, che ha presieduto dal 2009 al 2011. Esperto nel diritto dei pubblici appalti, in giustizia costituzionale, nel diritto pubblico regionale e nel diritto pubblico dell’economia, ha ricoperto numerosi incarichi fra cui quello di consulente giuridico sia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che presso la Presidenza della Regione Siciliana e l’Assemblea regionale siciliana. Dal 1998 al 2002 è stato presidente della “Commissione paritetica per la determinazione delle norme di attuazione dello Statuto speciale siciliano”. Il 30 marzo 2013 viene nominato dal Quirinale come membro della commissione per le riforme economiche. Coautore, con Roberto Bin, di un manuale di Diritto costituzionale (Giappichelli) giunto alla tredicesima edizione e utilizzato nelle principali Università italiane, è autore di numerosi articoli pubblicati in riviste giuridiche e ha curato numerosi volumi collettanei. Ha pubblicato sei monografie, tra cui “Forme di governo e trasformazioni della politica”, Laterza, 1996 e, insieme a Vincenzo Lippolis, “Il bipolarismo conflittuale”, Rubbettino 2007. Dal 1998 è direttore della “Rivista di diritto costituzionale” edita da Giappichelli. Palermitano, 58 anni, tra i suoi tanti hobby troviamo: vela, mountain bike, nuoto, fotografia, immersione e viaggi. Il segreto della sua forma? “Tanto yoga e zero mondanità”.
Marco Sonsini
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