Luglio 2024, Anno XVI, n. 7
Bernie Campbell
Una Passione per la Politica
“Questo è il segreto delle campagne elettorali. Passione per la politica significa passione per la gente. Se le campagne non entrano in sintonia con la gente, non c’è danaro o pubblicità che tenga.”
Telos: Esperto in campagne elettorali, lei ha consigliato candidati e partiti politici non solo negli Stati Uniti, ma anche in diversi Paesi del mondo. Da cosa è dipeso il successo nella sua professione?
Bernie Campbell: Come tante delle cose migliori della vita, è capitato per caso. Ho conosciuto un candidato al Congresso degli Stati Uniti, un vero e proprio outsider che si candidava contro un deputato in carica da cinque anni. Non aveva alcuna possibilità, quindi quando mi ha chiesto se volevo gestire la sua campagna, non avevo nulla da perdere
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E anche se perdemmo, inaspettatamente si rivelò un testa a testa. Il giorno dopo la mia segreteria telefonica era piena. Avevo accettato un lavoro e trovato una carriera. Una carriera che mi avrebbe portato in giro per il mondo.
Sono sempre titubante a dare consigli. Se ho imparato qualcosa da tre decenni di politica, è che non c'è mai un solo modo per vincere un'elezione, realizzare un sogno o raggiungere un obiettivo. Per me la politica è fatta di persone. Le persone con le quali si lavora, la squadra che rende possibile la campagna, e le persone che si cerca di raggiungere e persuadere, gli elettori. Non sono sicuro che si tratti di reale capacità o di esperienza, ma sono stato, nei porti, sui moli prima dell'alba a parlare con i pescatori e ho chiuso la stessa giornata con il turno di mezzanotte in una fabbrica. Me ne sono andato pieno di energia, con la voglia di fare di più. Questo è il segreto delle campagne elettorali. Passione per la politica significa passione per la gente. Se le campagne non entrano in sintonia con la gente, non c’è danaro o pubblicità che tenga.
Per me, che di solito sono un esterno, paracadutato in un nuovo Paese e in una nuova cultura, la chiave del successo non è solo entrare in contatto con le persone, ma essere aperto e pronto ad imparare dalle persone. Una capacità? Forse. Lo definirei più un modo di vedere le cose. Porto con me in ogni luogo un bagaglio di esperienze, un pregresso nello sviluppo di strategie, una miriade di tattiche, ma non c'è approccio o piano di campagna che possa andare bene per tutti. O almeno non dovrebbe esserci. Dal primo momento in cui mi trovo sul posto, devo assimilare tutto, socialmente e culturalmente, il più rapidamente possibile, e per farlo, devo essere curioso, umile e sincero. Mi faccio allievo prima di diventare maestro. Se non sono pronto a imparare da coloro che incontro e con i quali lavoro, non posso dare consigli validi. Forse è questa la mia vera capacità: sapere ciò che non so e capire come impararlo bene e il più rapidamente possibile.
Nel 2013 ha seguito la campagna elettorale di Mario Monti. Cosa ha imparato sulla politica italiana? E c'è qualche aneddoto che vorrebbe raccontarci?
Era un momento difficile per una campagna elettorale. La crisi del debito sovrano aveva indebolito le economie e le istituzioni finanziarie di tutta Europa. Una delle prime cose che ho scoperto appena arrivato a Roma è stata che lo ‘spread’ non era un termine del mondo delle scommesse sportive, ma un metodo usato per interpretare la forza dei mercati finanziari, la differenza tra i rendimenti delle obbligazioni nazionali. Fece capolino sin dal primo incontro. Non ne avevo idea. C’era molto da imparare.
Ho avuto l'opportunità di lavorare con leader di governo e candidati in tutto il mondo, e non c'è nessuno che abbia apprezzato di più di Mario Monti. Preparato, positivo, empatico, con un'arguzia che non ti saresti mai aspettato. Ricordo che una volta la mia famiglia era venuta a trovarmi e Monti ci invitò tutti a cena. Al ristorante stavo per sedermi accanto a lui, pensando che avessimo delle cose da discutere, ma lui bloccò la sedia e me ne indicò un'altra dall'altra parte del tavolo. Fece sedere accanto a sé mia figlia, che all'epoca frequentava ancora le elementari. Parlarono tutta la sera e io imparai qualcosa su Monti. Non tutto doveva girare intorno alla politica.
Le elezioni italiane del 2013 sono state il mio primo faccia a faccia con il populismo: la sua energia, la sua passione e, se incanalata e diretta, la sua potenza.
Quelle elezioni hanno sconvolto molti degli schemi di voto e socioeconomici tradizionali dell'Italia. L’attrazione esercitata dal fondatore del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, è stata alimentata dalla frustrazione, dall'insoddisfazione anti-sistema e anti-establishment e, cosa interessante, ha attinto sia da destra che da sinistra. La sua formazione elettorale si è rivelata dirompente. I sondaggi non hanno colto il fenomeno, ma se lo si fosse realmente osservato, sarebbe stato difficile non notarlo. E in un'elezione nella quale un gruppo consistente decide all’ultimo minuto, molti elettori sono stati catturati dalla sua ondata.
Siamo ormai abituati a campagne guidate da personalità che bypassano i media tradizionali e fanno crescere il numero dei voti attraverso i social media. Questo è stato uno dei risultati della campagna del 2013. Grillo ha infranto molte delle regole tradizionali e ha trascorso gran parte della sua campagna in giro per il Paese a gettare benzina sul fuoco dell'ansia e della sfiducia degli elettori. Era un'indicazione di quello che stava per arrivare. Non ha vinto subito, ma dopo sì. Se penso ad un'immagine che racconti quelle elezioni, è quella dell'ultimo fine settimana, gli ultimi comizi. L'ultima opportunità per imprimere uno slancio e inviare un messaggio. Monti tiene il suo comizio finale in un teatro dell'Opera di Firenze, con una folla piccola, ma di tutto rispetto. Berlusconi, preoccupato per la partecipazione, rinuncia al suo comizio. Bersani raduna i suoi seguaci in un teatro di Roma. Grillo riempie Piazza San Giovanni. Centinaia di migliaia di sostenitori in piedi, tutto il giorno, sotto la pioggia. Il potere del populismo e, per molti versi, il futuro della politica.
Il 2024 è un anno elettorale fondamentale, su entrambe le sponde dell'Atlantico. Cosa ne pensa della campagna elettorale negli Stati Uniti?
Il 2024 è un anno elettorale fondamentale non solo su entrambe le sponde dell'Atlantico, ma in tutto il mondo. Quest'anno si voterà in mezzo mondo. Già ci sono state delle sorprese. In India, la vittoria schiacciante pronosticata da Modi non si è mai verificata. In Sudafrica, la maggioranza parlamentare trentennale dell'ANC ha subìto un brutto colpo. In Europa forse non si è trattato di vero e proprio terremoto, ma in molti Paesi, ci sono state forti scosse. Un chiaro sentimento anti-establishment, anti-status quo, ed elettori per i quali cambiare è più importante di qualsiasi altra cosa. Molti degli stessi trend li stiamo osservando negli Stati Uniti. Come in Italia nel 2013, ci sono segni di rottura nei modelli di voto socioeconomici, razziali ed etnici di lunga data. La frustrazione economica e la sfiducia nell'establishment sono elevate. E per il Presidente Biden gli ostacoli si stanno moltiplicando.
Questa elezione potrebbe essere determinata da un nuovo gruppo di elettori: i double haters. Un folto gruppo di elettori che non ama nessuno dei due principali candidati alla presidenza. La loro posizione sarà centrale per decidere chi vincerà le elezioni americane del 2024.
Vede delle analogie tra i trend della politica americana e la costante ascesa della destra populista in Europa occidentale?
Me lo chieda di nuovo il 6 novembre.
Ci sono delle somiglianze, ma queste somiglianze elettorali sono anche globali. Dopo la Brexit che ha preceduto Trump nel 2016, è comprensibile analizzare questi trend in un contesto limitato agli Stati Uniti e all'Europa occidentale e cercare di trarre lezioni dalle ultime elezioni europee. Ma quando cerchiamo i trend, le tendenze di voto, faremmo meglio ad allargare la nostra visuale.
Gli elettori di tutto il mondo sono arrabbiati e sfiduciati. Le cose non vanno, non vogliono più aspettare. Molti stanno lottando, soffrendo, e non possono più aspettare. Queste elezioni non servono solo a comprendere le sofferenze degli elettori. Si tratta di risolverle. E molti elettori pur di cambiare sono disposti a correre grossi rischi.
Mariella Palazzolo
Editoriale
Il nostro ospite del numero di luglio di PRIMOPIANOSCALAc è Bernie Campbell, che di elezioni se ne intende e ci ricorda che la passione per la politica è prima di tutto passione per le persone. Non è da intendersi, questa frase, nel senso astratto di “servizio alla propria comunità”. Al contrario, la passione di cui ci parla è quella di chi va al porto prima dell’alba a parlare con i pescatori, o fuori dai cancelli delle fabbriche a conoscere gli operai: non per spiegare loro come va il mondo, ma prima di tutto per apprendere da loro che cosa non va, in modo tale da poterli rappresentare in maniera adeguata. Ecco perché, per usare le sue parole, lo spin-doctor deve essere allievo prima di diventare maestro: non porta agli elettori un messaggio preconfezionato, ma risponde con una proposta politica alle istanze che gli elettori gli presentano.
Inutile dire che la politica di oggi funziona esattamente al rovescio, e le campagne elettorali non fanno eccezione. Il politico di oggi è un comunicatore che, con maggiore o minore padronanza dei mezzi retorici, spiega a quel che resta della propria base che se sta peggio delle generazioni passate, se non vede prospettive per sé e per i propri figli, se vede la propria comunità sgretolarsi e il proprio Paese scivolare lungo un crinale di impoverimento, degrado, violenza… è inevitabile che sia così, perché la storia degli ultimi decenni, la dottrina economica accreditata dalle Accademie, il consenso generalizzato dei tecnici dimostrano che non c’è alternativa. Anzi, non solo è inevitabile, ma forse, in fondo, è addirittura giusto così: avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi ed ora è giusto che paghiate. E se a pagare sono i vostri figli, è nell’ordine naturale delle cose che se la prendano con voi, non con chi è costretto ad imporre i necessari sacrifici.
Piccola curiosità: pensate che questo modo di vedere le cose risalga alla signora Thatcher, vero? Non è esatto. Lo stesso concetto era stato impiegato, con parole diverse, ma per giustificare la stessa politica già nel 1976 dal predecessore della Thatcher al n.10 di Downing Street, James Callaghan… un laburista. “We used to think that you could spend your way out of a recession, and increase employment by cutting taxes and boosting Government spending. I tell you in all candour that that option no longer exists” [n.d.t. Pensavamo che spendere fosse la strada per uscire dalle recessioni e che si potesse incrementare l’occupazione tagliando le tasse ed aumentando la spesa pubblica. Vi dico, in tutta onestà, che quell’opzione non è più praticabile.]Giudicate voi … ma la storia ogni tanto è sacrosanto riscriverla.
Per quanto tempo poteva funzionare questa strategia di comunicazione politica? Se l’avesse fatta propria un solo partito, gli elettori lo avrebbero spazzato via nel volgere di uno o due cicli elettorali. Solo perché patrimonio comune a tutti i partiti tradizionali -prima Callaghan, poi Thatcher-, è durato una trentina d’anni, mentre inesorabilmente, ignorata dai proclami dei vincitori e dalle recriminazioni dei vinti, la partecipazione popolare alla rituale ordalia elettorale si assottigliava, ogni volta un po’ di più. E poi, d’un tratto, ecco il nuovo Spettro aggirarsi per l’Europa (e non solo, stavolta): l’ennesimo spauracchio al quale abbiamo affibbiato il suffisso (-ismo) che riserviamo ai pericoli da esorcizzare.
Il racconto di Bernie ci restituisce l’immagine più evocativa della campagna che ha visto lo Spettro palesarsi in Italia, in maniera tanto perentoria da non poter essere più ignorato. Una folla torna a riempire la piazza storica della militanza comunista, ma con altre bandiere: lo Spettro ora è anti-politico, guida la rivolta contro una politica che al declino e al degrado non ha trovato altra risposta se non: “è la Storia che ha cambiato direzione”.
Bernie non è italiano e nel 2013 non lavorava per i populisti: ma è immune da paternalismi di classe e la lezione sulle ragioni del populismo l’ha appresa molto bene. In Italia potrebbe insegnarla a molti…
Le copertine di quest’anno di PRIMOPIANOSCALAc sono ispirate alle opere di Romano Gazzera, pittore piemontese noto per i suoi fiori ‘giganti’, ‘parlanti’ e ‘volanti’ che, insieme ad altri temi iconografici legati alla memoria storica e collettiva, lo hanno caratterizzato e distinto come il caposcuola della corrente Neo-floreale italiana. Per Campbell abbiamo scelto la Buddleja, un arbusto sempreverde dalla fioritura estiva ricca e profumatissima. Si adatta ad ogni suolo, così come Bernie adatta le sue strategie ad ogni contesto politico e culturale. Viene anche chiamato ‘albero delle farfalle’ che ne sembrano essere particolarmente attratte… come Bernie spera che gli elettori lo siano dal suo candidato? Per la Buddleja il profumo di miele e vaniglia funziona!
Marco Sonsini
Bernie Campbell ha più di trent’anni di esperienza nella gestione di campagne politiche, nella scrittura di discorsi, nelle relazioni con i media e nella comunicazione di crisi.
Ha lavorato in più di quindici campagne elettorali, per candidati e partiti politici in ogni parte del mondo: Stati Uniti, Nepal, Ucraina, Grecia, Nigeria e Brasile, solo per citarne alcuni Si è laureato alla Wake Forest University e ha conseguito un Master in Studi Teologici all'Università di Harvard.
Nel 2001 ha fondato la Campbell Communications, LLC per fornire consulenza politica e di comunicazione.
Bernie vive a New York. Quando non legge o non riflette sulla politica, lo si può trovare a remare o seduto in un winebar…probabilmente intento a parlare di politica.
Marco Sonsini
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