Lobbying e corruzione: perché sono due cose diverse
Che cosa ha a che fare l'attività di lobbying con il complesso dei fenomeni criminali che raggruppiamo sotto l'etichetta di corruzione? E che cosa abbiamo a che fare noi lobbisti con il dilagare dei fenomeni corruttivi che Michele Corradino descrive nel suo recente libro "È normale... lo fanno tutti", lasciando per lo più la parola agli stessi protagonisti, intercettati nel corso di indagini più o meno celebri degli ultimi anni?
Niente, è la nostra risposta. E avremmo voglia di chiudere qui il discorso. Ma non si può, perché la faccenda, già ricca di sfaccettature per sua natura, è ulteriormente ingarbugliata dal dilagare di una retorica che dipinge il lobbista come intermediario di scambi illegali o perlomeno inopportuni tra politica e mondo imprenditoriale, e il complesso di questi rapporti addirittura come responsabile occulto del declino italiano. Ecco allora emergere, spesso, la teoria di un grande complotto contro la nazione, nel quale la corruzione è il morbo che corrode le membra della nostra vita sociale ed economica, la politica (senza troppi distinguo) il brodo di coltura del virus, il lobbista... qualcosa di vagamente simile all'untore!
Per fortuna, o meglio per suo merito, Michele Corradino è perfettamente consapevole del lavoro serio che fanno i veri lobbisti: il risultato è che il suo bel libro edito da Chiarelettere è immune da queste sciocchezze. Nelle poche pagine dedicate all'argomento della rappresentanza di interessi, l'autore mette in luce quello che a nostro giudizio è il vero problema che affligge la nostra professione. Scrive Corradino: "i rapporti tra politica e impresa ovviamente esistono e sono fitti, ma sono affidati alle relazioni personali. Gli imprenditori più grandi e le associazioni di categoria più importanti non hanno alcun problema a varcare le soglie dei palazzi del potere, gli altri si affidano agli amici per raggiungere politici, amministratori e funzionari pubblici".
Queste parole non ci sorprendono, ma potrebbero (anzi, dovrebbero) sconvolgere chi è estraneo al nostro mondo perché chiariscono anche al lettore più ignaro, o all'opinionista più fazioso, che il problema della rappresentanza di interessi in Italia non è la bulimia dell'attività lobbistica, ma la sua evidente e desolante marginalità. Il coinvolgimento degli interessi economici privati nel processo di formazione della decisione pubblica è affidato ancora, in molti (troppi) casi, non alla rappresentanza, ma alla contiguità: in altri termini, non a una seria e legittima attività professionale, ma alla capacità di esercitare un'influenza o, ancor più banalmente, di far leva su rapporti personali.
Una precisazione è d'obbligo, a questo punto. Al contrario di quanto spesso si dice, il lobbista non è un amico dei potenti. Il lobbista è un professionista dei processi decisionali, che offre a un operatore economico la propria consulenza sulle modalità più opportune per rappresentare i propri interessi al decisore pubblico. Se riesce a farlo bene, offre anche al decisore elementi che possono essergli utili per assumere le proprie determinazioni con maggior cognizione di causa. Il rapporto tra un vero lobbista e i palazzi del potere è solo di natura professionale. Ma se, per avere accesso al dialogo con le Istituzioni, bisogna essere grandi abbastanza per poter influenzare, o abbastanza furbi da affidarsi a un "facilitatore", per il lobbista non c'è posto. E non c'è neanche posto per la democrazia, che dovrebbe assicurare a tutti - anche a coloro che sono considerati meno influenti - la possibilità di far ascoltare la propria voce a coloro che sono stati votati per fare le leggi.
Liberare la rappresentanza degli interessi dalla presenza ingombrante e nefasta di "facilitatori", amici degli amici, frequentatori assidui di salotti e corridoi, magari anche simpatici ciarlatani senza qualità è l'unica via per conferire alla lobby lo status di attività professionale. È necessario farlo per migliorare la qualità della nostra democrazia e delle nostre leggi ma, come potete immaginare, è prima ancora interesse di chi, come noi, tiene alla dignità e alla onorabilità della professione del lobbista.
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